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Esiste una relazione tra valore dell’impresa e soddisfazione dei lavoratori?

Esiste una relazione tra valore dell’impresa e soddisfazione dei lavoratori?

Esiste sicuramente una relazione tra il valore di un’impresa e la soddisfazione dei lavoratori che ci lavorano, ma quale realmente è? Secondo le teorie Tayloristiche per spingere un dipendente ad aumentare il suo impegno e di conseguenza il suo costo, basta aumentare la sua remunerazione materiale. Dopo 100 anni questa visione viene ancora sposata dalla teoria dei contratti ottimali che insegnano che si riesce ad indurre il dipendente a lavorare nel migliore interesse del datore di lavoro pagandolo il minimo necessario ed offrendogli poi un bonus legato al risultato. Tale strategia deve anche includere un certo elemento di rischio per aiutare il dipendente a motivarsi e a responsabilizzarsi. Tale strategia però può essere talvolta distruttiva in alcune tipologie di professioni dove il rapporto con il cliente è fondamentale. 

Se l’impresa per la quale il dipendente lavora fa qualcosa in più del necessario per il lavoratore stesso, egli risponderà lavorando con più entusiasmo ed impegno portando così alla crescita della produttività. Un altro modo per portare il lavoratore ad essere soddisfatto può essere quando la condizione dei lavoratori è ottimale e ciò porta ad un aumento del turnover. Lavoratori soddisfatti infatti, non solo riducono il turn-over ma sono anche i primi testimonial a promuovere l’azienda ai nuovi lavoratori. Avere dipendenti soddisfatti risulta indubbiamente un vantaggio competitivo notevole.

È possibile quindi dire che la qualità dell’esperienza esistenziale dei lavoratori sia positivamente collegata al valore dell’impresa. Quest’ultimo però ancora non è riconosciuto a pieno dal mercato. Questa inabilità dei mercati di capire appieno il valore di quelle aziende che investono nel benessere dei propri lavoratori fino al punto da renderli più produttivi, leali e soddisfatti, dipende, dunque, in parte dalla natura degli strumenti teorici che abitualmente vengono utilizzati dagli analisti per stimare il valore delle imprese, strumenti sofisticati, ma sviluppati a metà del secolo scorso, in un contesto molto differente rispetto a quello attuale, e, in parte dall’atteggiamento miope del management.

Essendo il benessere dei dipendenti un elemento intangibile, i manager non investono molte risorse portando così ad avere poche risorse e ad essere poco visibile e a non avere effetti sulle valutazioni di mercato. 

Oggi, in definitiva, viviamo in un panorama nel quale alcune imprese scelgono per ragioni non strumentali di investire nella qualità dell’esperienza esistenziale dei loro lavoratori. Tali aziende hanno rendimenti mediamente superiori rispetto ai benchmark delle altre imprese comparabili. Il mercato non vede questa tendenza perché valuta le imprese non tenendo conto degli elementi intangibili del loro successo.